martedì 24 aprile 2018

Molly's Game

Il gioco delle parole


Molly Bloom è un'ex sciatrice che ha dovuto abbandonare le sue speranze di partecipare alle Olimpiadi a causa di un incidente. Nel 2004 decide di concedersi una breve vacanza a Los Angeles prima di cominciare gli studi di giurisprudenza ad Harvard. Per guadagnarsi da vivere inizia a lavorare come assistente di un organizzatore di partite clandestine di poker di celebrità, con buy-in vertiginosi. Molly capisce subito di avere di fronte a sè un'opportunità eccezionale per diventare ricca, e decide di mettersi in proprio.

Aaron Sorkin è uno degli sceneggiatori migliori e più originali del cinema e della serialità televisiva. La sua scrittura è fatta di dialoghi serrati, pronunciati a un ritmo vertiginoso, che trascinano lo spettatore nella storia, costringendolo ad ascoltare, a osservare, a concentrarsi su coloro che pronunciano quel vortice di parole: i personaggi.
“Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti, e attraverso le parole Sorkin definisce i suoi personaggi, caratterizzati da ciò che dicono ma, soprattutto, da ciò che non dicono. Non sorprende, dunque, che il suo primo film da regista sia in apparenza un film di parole, dove i dialoghi ci trasportano nell'abbacinante e vorticoso mondo di Molly Bloom, raccontandoci la storia vera della regina del poker clandestino di Hollywood.

Sorkin gioca abilmente con il mezzo cinematografico, supportando la sua scrittura con un montaggio rapido e sincopato, e fa in modo che il ritmo rimanga sempre elevato, ipercinetico, rendendo invisibile l’impianto teatrale della sua messa in scena e facendo di ogni dialogo uno spettacolo, di ogni confronto una scena che lascia con il fiato sospeso.
In mezzo alla tempesta di parole, sono i non detti a occupare un posto centrale nel film: Molly, e con lei gli altri personaggi, non è definita da quello che dice, ma da quello che non dice, da quello che non fa. Non rivela i nomi dei suoi clienti per ottenere uno sconto di pena, non scende a compromessi per continuare la sua attività, e soprattutto non usa mischia lavoro e sentimento. Circondata da uomini, Molly li tiene sempre a debita distanza, esibendo una professionalità che invece manca a chi la circonda.

Attraverso un abile incastro di diversi piani temporali, Sorkin fa emergere la personalità di Molly con il passare dei minuti. Accanto alla professionalità e alla serietà lavorativa emerge una caratteristica che le esalta per contrasto, la sua fragilità nei rapporti personali: tanto Molly è seria, quasi dura sul lavoro, tanto è fragile nella sua vita privata. Come aveva già fatto con Mark Zuckerberg e Steve Jobs, Sorkin usa i dialoghi per scavare nei suoi personaggi, mettendoli a poco a poco a nudo in un processo che ricorda la scultura di Michelangelo: un costante lavoro di cesello con cui libera i personaggi dal marmo che li contiene e li espone allo spettatore nella loro vera natura. Questo fa sì che lo spettatore si affezioni sempre più a Molly, identificandosi con questa donna complessa, forte e fragile allo stesso tempo, dotata di un’intelligenza fuori dal comune e tradita da un solo, piccolo, fatale errore.

Il grande lavoro di Sorkin sarebbe però reso vano se a interpretare la protagonista non ci fosse una straordinaria Jessica Chastain, magnetica nel suo carisma e capace di passare in un attimo dalla risolutezza alla fragilità più estrema, senza però mai abbandonare la dignità che è il cuore pulsante del suo personaggio. Idris Elba offre un’ottima prova nel ruolo dell’avvocato. Il suo personaggio impara a conoscere Molly insieme allo spettatore: dapprima disgustato, poi perplesso, infine totalmente partecipe delle vicende della sua cliente, sfuggente ma al tempo stesso trasparente nel suo voler difendere la reputazione dei suoi clienti e, con essa, la sua dignità professionale e umana. Accanto a loro, Kevin Kostner è convincente nel ruolo (centrale) del padre di Molly, mentre Michael Cera è sorprendente in una parte molto lontana da quelle cui ci ha abituato, quella di una celebrità che trae piacere non nel gioco, ma nell'umiliare i suoi avversari (personaggio peraltro ispirato a un altro insospettabile come Tobey Maguire).

Sorkin debutta alla regia con un lavoro senza fronzoli ma molto solido , che si mette al servizio della sua scrittura ma riesce anche a creare una forte identità visiva per il film, che si dipana tra l'oscurità degli ambienti notturni e la luce sfolgorante dei tavoli, in un continuo contrasto tra luci e ombre che rispecchia la vicenda narrata.

Molly's Game è un film classico, che fa suo il ritmo vorticoso delle commedie degli anni Quaranta e Cinquanta che hanno reso grande Hollywood e lo adatta a un racconto quanto mai attuale sulle conseguenze dell'avidità e sul prezzo da pagare per farsi strada nel mondo senza perdere la faccia. Un film frenetico, senza un attimo di pausa, in cui ci si diverte, si riflette, ma soprattutto ci si appassiona a personaggi scritti con assoluta perizia.

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Pier

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