venerdì 9 marzo 2018

Il filo nascosto

La natura del potere



Londra, anni Cinquanta. Reynolds Woodcock è lo stilista più celebre d'Europa. Vive da solo con la sorella Cyril, e le sue avventure amorose sembrano sempre durare un battito di ciglia, fino a quando la musa smette di fornirgli la necessaria ispirazione. Fanatico del suo lavoro e preciso al limite della maniacalità, Reynolds tiranneggia la sua maison e la sua casa con uguale fervore. Un giorno conosce Alma, cameriera di un hotel: rimangono affascinati l'uno dall'altra, e quando Reynolds le chiede di seguirlo a Londra, Alma accetta. Alma, però, rivela ben presto un'insospettabile tenacità, che lentamente comincia a incrinare il perfetto ma delicato sistema che regola la vita e la creatività di Reynolds.

Che cos'è il potere? Questa è una domanda ricorrente nel cinema di Paul Thomas Anderson: se nel suo capolavoro, Il petroliere, esplorava il rapporto tra diverse fonti di potere (economico e spirituale), in The Master la sua attenzione si era già spostata sulle relazioni interpersonali e sul nostro rapporto ambiguo con il potere, nella nostra continua tensione tra il desiderio di comandare e quello di obbedire. Ne Il filo nascosto Anderson porta avanti questo discorso concentrandosi sul sistema di influenze reciproche che regola anche i rapporti più intimi. Ritagliando il tempo con la stessa maestria con cui Reynolds Woodcock taglia e lavora la stoffa, Anderson esplora come questi rapporti di forza si manifestano ed evolvono nel tempo, scorrendo sotto la superficie della vita quotidiana per poi emergere prepotentemente come fiumi carsici. Questi momenti di incontro/scontro sono violenti, quasi sadici, ma servono a ristabilire l'equilibrio, segnando una temporanea tregua che verrà presto rotta dal continuo lavorio di influenze psicologiche e sociali.

Il filo nascosto non è la storia di Reynolds, ma la storia di Alma, e di come si inserisce in un sistema di potere e influenza ben consolidato, quello tra Reynolds e la sorella Cyril. Alma non vuole adeguarsi al sistema vigente, diventando una delle tante muse di Reynolds, ma cerca di cambiarlo, modificarlo, muovendosi al suo interno per tentativi, tanti piccoli colpi d'ago che tessono il tessuto del suo rapporto con lo stilista. Ambedue cercano il "filo nascosto" dell'altro ma, laddove Reynolds si illude di averlo trovato fin da subito, Alma sa che la ricerca richiederà tempo, pazienza e determinazione, e dovrà passare giocoforza anche da fallimenti. La sua apparente timidezza racchiude in realtà una grande determinazione, grazie alla quale riesce a farsi strada in una ragnatela che sembra creata per strangolarne l'individualità.

Questa evoluzione viene raccontata da Anderson per sottrazione, lavorando più sul non detto che sulle parole, e manipolando il tempo per concentrarsi sui momenti chiave, sulle cuciture più importanti, che vengono dilatate laddove il resto della vicenda scorre con rapidità, sempre uguale eppure leggermente diverso. Come in una partita a scacchi, ogni mossa è decisiva e punta a spiazzare l'avversario, che è al tempo stesso amante e figlio, tiranno e servo. Anderson immerge tutto in un'atmosfera claustrofobica, gotica, quasi da thriller (è evidente la lezione hitchcockiana sugli orrori domestici, che però Anderson rielabora in maniera del tutto originale), in cui la tensione monta non per la presenza di un assassino ma grazie a gesti semplici e apparentemente innocui come un burro spalmato con troppo vigore.
Il rapporto tra Alma e Reynolds diventa così metafora della condizione dell'artista e del processo creativo, dell'eterna tensione tra creazione e distruzione, tra genio e follia, tra generazione e morte. Anderson tratteggia questo parallelismo in modo sapiente, senza calcare troppo la mano (vero, Aronofsky?, ma lasciando che emerga dalla storia in modo naturale, fino a divenirne parte integrante nello splendido finale.

La perfezione ricercata da Woodcock riflette quella trovata dal regista: ogni inquadratura è perfetta, funzionale, atmosferica, e contribuisce a creare quel mondo trasognato, a metà tra sogno e incubo, che costituisce il palcoscenico della storia di Alma e Reynolds. Al bianco folgorante delle sfilate, della vita sociale, e delle prove d'abito collettive si contrappongono i colori bruni e la luce calda e soffusa della vita privata di Alma e Reynolds, delle loro prove private, in cui Reynolds prova a plasmare Alma attraverso i suoi vestiti e lei cerca di farlo suo con la sua tenace resistenza. Gli abiti (disegnati dal premio Oscar Mark Bridges e dallo stesso Daniel Day Lewis, come sempre totalmente immerso nella parte per via del "metodo") sono una gioia per gli occhi, e rappresentano appieno la creatività del loro autore e la sua maniacale precisione.

Anderson crea un film che non si può che definire unico per struttura narrativa e modalità espressiva, talmente diverso da qualunque altra esperienza filmica da risultare a tratti straniante, eppure in grado di catturare e ammaliare lo spettatore. Nessuna scelta è prevedibile, nulla è mai scontato: lo spettatore viene trasportato in un rapporto ambiguo e indecifrabile, di cui lentamente scopre tutte le più imprevedibili sfaccettature. A questa imprevedibilità contribuiscono anche gli attori, strepitosi: Daniel Day Lewis offre l'ennesima prova di bravura, ma a brillare è la semisconosciuta Vicky Krieps, che tiene testa e anzi spesso supera il mostro sacro con cui condivide la scena, in un riflesso (voluto?) del rapporto tra la timida cameriera e il geniale creativo che interpretano nel film.
Centrale è anche l'uso della musica, che Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, costruisce interamente sull'uso degli archi, usati magistralmente sia per trasmettere serenità sia per far crescere la tensione.

Paul Thomas Anderson si conferma come uno dei più grandi registi contemporanei, forse l'unico in grado di realizzare tanti film all'apparenza completamente diversi da loro, ma uniti dal filo invisibile della sua poetica visiva e della sua passione per tematiche quasi metafisiche in film: in una parola, dalla visione di un grande autore.

**** 1/2

Pier

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