mercoledì 30 agosto 2017

Dunkirk

Il capolavoro della fuga



Nel maggio 1940, 400.000 soldati britannici sono accerchiati dai tedeschi sulla spiaggia di Dunkerque (Dunkirk in inglese). I vertici militari britannici organizzano una rocambolesca operazione di salvataggio, che coinvolge anche i civili. Il destino della guerra dipende dalla salvezza di questi soldati.

Una città deserta, silente; il suono improvviso di uno sparo; una fuga rocambolesca verso la spiaggia, a sua volta silente, ma non deserta, anzi, traboccante di uomini in attesa di una nave che potrebbe non arrivare mai: soldati ordinati o animali in fila per il mattatoio?

La scena d'apertura di Dunkirk è un perfetto ritratto della materia di cui è fatto il film: un ritratto impressionista di una fuga, in cui nulla è mai perfettamente definito se non la paura, l'ansia, il tempo che diventa il nemico più temibile, quello che davvero uccide.
Christopher Nolan gioca con il tempo da sempre, dilatandolo e comprimendolo, ma qui, ancor più che Interstellar, il tempo diviene il vero protagonista, o meglio, l'antagonista: tutti i protagonisti, che siano in mare, terra, o aria, devono lottare contro il tempo per permettere a una fuga impossibile di avere luogo, per salvarsi e salvare altri, per mantenere acceso un barlume di speranza. Nolan racconta questa corsa contro il tempo attraverso tre storie che si inseguono, si toccano e infine si allineano, dando vita a uno sforzo collettivo che ben rappresenta il miracolo che fu l'evacuazione di Dunkerque.

In quello che è forse il suo film meno "nolaniano", Nolan racconta una storia in fondo lineare, ma caratterizzata da un'urgenza e una tensione che raramente si sperimentano al cinema, lasciando lo spettatore con il cuore in gola per tutta la durata della pellicola. Nolan sincronizza con sapienza tutti gli elementi del film per costruisce una tensione palpabile, solida, fisica. Lo fa attraverso una sceneggiatura scarna e fatta più di silenzi che di parole; lo fa attraverso la splendida fotografia, fatta di campi lunghi che sembrano quadri, all'interno del quale gli uomini non sono che formiche immateriali, salvo riacquistare la propria umanità e sostanza negli intensi primi piani; lo fa con la scelta di non mostrare scene truculente per amor di spettacolo, ma di osservare i suoi soldati quasi come un entomologo, senza indulgere nella facile spettacolarizzazione ma preferendo la realtà della paura e delle emozioni; lo fa con delle prove d'attore splendide, fatte di sottrazione e di sottotono anziché delle urla che di solito caratterizzano il genere, con Kenneth Branagh, Mark Rylance e Tom Hardy che portano tre diversi ma ugualmente magistrali stili di recitazione al servizio del film; lo fa, infine, con una colonna sonora martellante e ansiogena, costruita su illusioni acustiche (come ben spiegato da Anonima Cinefili) e suoni naturali che prendono la tensione delle immagini e degli eventi e la elevano all'ennesima potenza.

Il risultato è uno dei migliori film di guerra degli ultimi trent'anni, forse della storia, capace di stordire con la forza di immagini evocative senza scivolare nella retorica, di farci affezionare ai personaggi e soffrire con loro senza indulgere in facili momenti di identificazione (nessuna foto della fidanzata nel taschino, nessun proclama patriottico del generale), di fare della fuga un'opera d'arte visiva e sonora.

Non perdetelo.

*****

Pier

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