martedì 17 gennaio 2017

Arrival

Dialoghi Ravvicinati del Terzo Tipo


Louise Banks, linguista di fama mondiale, ha appena perso una figlia, morta prematuramente, ed è ancora in preda al lutto. Quando dodici astronavi alieni arrivano sulla Terra e cercano un contatto, tuttavia, Louise dovrà mettere da parte il suo dolore per cercare di decifrare il loro linguaggio e capire le loro intenzioni.

Le invasioni aliene sono un classico della fantascienza fin dai suoi albori, e sono state ampiamente sfruttate anche in anni più recenti, dagli anni 90 a oggi (è di quest'anno, ad esempio, il deludente sequel di Independence Day). Se però lo scontro con gli extraterrestri ostili è stato rappresentato fino alla noia, ricadendo spesso in stereotipi triti e abusati, sono molto pochi i film in cui gli alieni cercano di stabilire un contatto con i terrestri e di dialogare con loro. Tra questi spicca Incontri ravvicinati del terzo tipo, in cui il tentativo di comprendere il messaggio alieno costituisce il punto di partenza del film. Arrival parte dalla stessa idea, ma la mette ancora più al centro della vicenda, trasformando il tentativo di comunicare con gli alieni nel punto fondante della trama.

Arrival è un film sul dialogo, sul linguaggio come strumento per conoscere ciò che è diverso da noi, come elemento fondante della cultura e dell'essere di chi lo parla. Il tentativo dei protagonisti per comprendere il linguaggio alieno è in realtà una lenta ma attenta esplorazione della natura degli alieni stessi, che li spinge a mettere in discussione la propria identità e a iniziare un percorso di autoconoscenza, cercando un punto di incontro con esseri così diversi da loro; nel frattempo, fuori dall'astronave, le potenze mondiali sembrano invece incapaci di dialogare e ascoltarsi, e una reazione violenta sembra sempre più vicina, conferendo alla missione di Louise un senso di incombenza e fatalità. Il messaggio sociale è evidente, ma il regista Villeneuve è abile a farlo emergere gradualmente, mantenendo in primo piano la vicenda professionale e personale di Louise (una brava ed emozionante Amy Adams), ma soprattutto il linguaggio, vero protagonista del film.

Il racconto è non lineare, ma procede con efficacia verso un ottimo finale, che riesce sia a sorprendere lo spettatore, sia a tirare tutti i fili mantenendo coerenza narrativa, evitando quella sgradevole sensazione di inganno spesso generata da questo tipo di film.
Villeneuve dirige con efficacia e sicurezza, evitando tutte le trappole che una storia del genere poteva porre in termini di eccessi di retorica, lungaggini e patetismo. Il regista riesce a realizzare un film autoriale senza togliere spazio a storia e personaggi, aiutato anche da un'ottima fotografia, in bilico tra sogno e realismo, e da un design davvero innovativo, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio degli alieni e le loro astronavi. Se il primo diventa quasi co-protagonista della vicenda, le seconde costituiscono un deciso stacco rispetto a quanto visto finora in film del genere: eleganti e al tempo stesso incombenti, sembrano più un omaggio al monolite nero di Kubrick che delle navicelle spaziali, contribuendo a far provare allo spettatore lo stesso senso di straniamento dei personaggi: gli alieni non sono come ce li aspettavamo, né tantomeno lo sono i loro mezzi di trasporto.

Nonostante riprenda alcuni temi già visti in altri film e qualche lungaggine nella parte centrale, Arrival riesce a essere originale e avvincente, un film di fantascienza "d'autore" come raramente se ne vedono al cinema (non a caso a Villeneuve è stato affidato il sequel di Blade Runner), che usa gli extraterrestri per farci riflettere su tematiche quantomai attuali.

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Pier

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