mercoledì 24 giugno 2015

Youth - La giovinezza (In pillole # 2)


Cacofonia di parole, estasi di immagini 


Un regista e un compositore ormai anziani si ritrovano ogni anno in un albergo sulle Alpi svizzere, dove discutono di arte, amicizia, amore e vita. Intorno a loro gravitano vari personaggi che segnano in modo più o meno diretta il loro rapporto con il passato e con il futuro.

Dopo il successo della Grande Bellezza, Sorrentino torna con un film più intimo e personale, che analizza la vecchiaia non con occhio clinico, focalizzandosi sul lento decadimento fisico e mentale come alcuni recenti film (Still Alice, Amour), ma centrando l'attenzione sui sentimenti e i rapporti interpersonali, tra amicizie che si mantengono perché ci si dice solo le cose belle e rapporti familiari più complessi di ciò che appaiono in superficie.

Sorrentino dirige con delicatezza, evitando (con qualche eccezione, come la scena filmata da dietro la rete del ping pong) quell'eccesso di manierismo che aveva caratterizzato La grande bellezza, e focalizzandosi sui personaggi e sul loro rapporto con età e realtà. Il cast è semplicemente superbo, guidato da un Michael Caine che dà significato a ogni silenzio e pregnanza a ogni momento onirico, esaltandone la portata immaginifica ed evitando che finiscano per essere solo esercizi di stile. Accanto a lui si muovono un Harvey Keitel ruvido e disperato, un Paul Dano convincente e finanche commovente, e una strepitosa Jane Fonda in un cameo indimenticabile.

Laddove il film incanta con la forza delle immagini e dei personaggi, cade miseramente sui dialoghi, che sembrano copiati e incollati dalle frasi dei Baci Perugina tanto sono stanchi, triti e banali (come si sente l'assenza di Umberto Contarello!). I momenti parlati sono talmente inferiori a quelli muti che verrebbe voglia che i personaggi non aprissero (quasi) mai bocca, onde evitare la sospensione dell'incantamento di immagini e suoni (ottima colonna sonora). Invece le parole rompono, spezzano, distruggono la magia, rendendo impossibile una piena immersione nel flusso del film, quel dolce abbandono che le atmosfere rarefatte e bucoliche sembrano suggerire.

La storia ha invece momenti eccellenti, dal concentro sui monti immaginato da Michael Caine al personaggio di Maradona, vera e propria summa di tutto il film, un talento cristallino che sopravvive a dispetto di età, decadimento fisico e avversità della vita. E il finale, intimo, astratto, quasi mistico, con l'inquietante presenza-assenza della moglie di Caine, chiude con la giusta dolcezza un film che, se non fosse stato per dei dialoghi ai limiti dell'imbarazzante, avrebbe potuto commuovere.

***

Pier

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