lunedì 29 luglio 2013

Now you see me

Il trucco c'è, ma non si vede



Quattro prestigiatori vengono convocati da un individuo misterioso che li coinvolge in un suo progetto. Un anno dopo, i quattro, con il nome di Quattro Cavalieri, si esibiscono insieme in uno show di alto profilo, al termine del quale tenteranno un'impresa mai tentata prima: rapinare una banca senza muoversi dal teatro.

Difficile dilungarsi sulla trama di Now you see me: il rischio è di rivelare uno degli innumerevoli colpi di scena, che si susseguono come in un unico, grande numero di magia. Costruito intorno ai protagonisti e alle loro idiosincrasie, il film si avvale di effetti speciali eccellenti, che contribuiscono a creare un'atmosfera di magia e incanto. La trama scorre fluida fino al finale, dove accelera e finisce per perdersi un po', chiudendo con fretta eccessiva tutti i vari filoni narrativi e ripiegando su una didascalica spiegazione che demolisce l'aura di mistero costruita durante il film.
 I personaggi sono bene interpretati, con Jesse Eisenberg, Mark Ruffalo e Woody Harrelson a fare la parte dei leoni. Resta un po' di rammarico per lo scarso sviluppo dedicato ad alcuni di loro, in particolare Henley e Jack, a causa del tempo limitato concesso da un prodotto cinematografico: forse una serie TV, anche di poche puntate, avrebbe reso miglior giustizia sia ai personaggi che alla trama.

Now you see me è un buon film di intrattenimento che, nonostante i difetti del finale, regala divertimento e suspence a sufficienza. Il trucco c'è, ma non si vede, e anche i più scettici si troveranno a seguire con attenzione il dipanarsi del piano dei Quattro Cavalieri, in una sorta di remake magico di Colpo grosso capace di incantare e divertire gli spettatori.

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Pier

martedì 23 luglio 2013

Pacific Rim

ROBOTTONI!



Da una faglia apertasi nell'Oceano Pacifico cominciano a fuoriuscire i Kaiju, mostruosi alieni decisi a distruggere il nostro pianeta. Per difendersi, il mondo unisce risorse e competenze e crea gli Jaeger, robot giganti pilotati da una coppia di piloti uniti a livello neurale. La battaglia tra mostri e robot sarà senza esclusione di colpi, nel tentativo di proteggere la terra dall'invasione aliena.

Dilungarsi sulla trama di Pacific Rim sarebbe un puro esercizio di stile: la storia è risicata, i dialoghi al limite della decenza, gli attori abbastanza piatti. Il tutto, però, svanisce come neve al sole quando entrano in scena loro, i veri protagonisti: i ROBOTTONI (maiuscolo d'obbligo). I ROBOTTONI sono eccezionali, realizzati con una precisione e una caratterizzazione di altissimo livello, totalmente mancanti, ad esempio, a quelli della serie Transformers. La loro entrata in scena è sempre spettacolare, le loro mosse di combattimento sono un puro godimento per l'adolescente che si annida in ogni spettatore. Accanto a loro, o meglio, contro di loro, Guillermo del Toro sguinzaglia un esercito di mostri giganti di nome Kaiju, in evidente omaggio ai mostri della tradizione giapponese come Godzilla. I Kaiju sono diversi ma simili, alieni ma terrestri, composti da elementi di diversi animali assemblati con perizia a creare dei giganteschi orrori semoventi.

Gli effetti speciali sono splendidi, e raggiungono il loro apice nelle scene di combattimento. Tra citazioni di Goldrake, Evangelion e tutte le serie mecha giapponesi, assistiamo a bocca aperta a scontri a base di lame rotanti, spade spaziali e petroliere (sì, avete capito bene: petroliere), in un'escalation di azione ed pathos che da tempo non si vedevano in un film d'azione.

Del Toro realizza un film d'intrattenimento perfetto, che non si prende sul serio e non pretende di essere nulla di diverso da quello che è, un luminoso e rumoroso baraccone fatto per divertire ed esaltare il pubblico. L'impresa riesce alla perfezione, facendo regredire tutti gli spettatori al livello di adolescenti esaltanti, pronti a lanciare i pugni in aria e a ridere divertiti di fronte all'ennesima impresa dei ROBOTTONI. A questo punto, rimane solo una domanda: a quando il sequel?

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Pier




mercoledì 10 luglio 2013

To the wonder

I wonder how, I wonder why



Neil e Marina si incontrano a Parigi e scocca la scintilla. Si trasferiscono negli USA, dove però la loro storia non riesce a decollare per colpa di lui, incapace di concedersi fino in fondo all'altra. Quando il permesso di soggiorno di Marina scade, le loro strade si separano, e Neil torna a una vecchia relazione. Dopo qualche tempo, tuttavia, i due si incontrano di nuovo, e riallacciano i fili della loro relazione, decisi questa volta ad abbandonarsi ai propri sentimenti.

Dopo il successo di The Tree of Life, Terrence Malick torna con un film che ne è la fotocopia sbiadita. Il film è ancora una volta un inno all'amore puro e disincantato, incarnato ancora una volta dalla figura femminile, simbolo della natura e della vita. E, ancora una volta, la figura maschile è incapace di vivere appieno i propri sentimenti, vittima di un egoismo da cui sembra incapace di uscire. Nel mezzo, interminati spazi e sovrumani silenzi in quantità industriale, a tal punto che anche Leopardi li avrebbe trovati eccessivi.
La trama è come sempre risicata, ma il fatto che sia una rivisitazione quasi pedissequa di quella del film precedente rende il film quasi insopportabile, una parodia di se stesso che stona con l'afflato universale respirato nel capolavoro imperfetto che era The Tree of Life.
To the wonder risulta quindi stucchevole e ripetitivo, e culmina in un finale che, nonostante l'ottima prova di Javier Bardem, risulta didascalico e posticcio, fatto di frasi vuote e di professioni di fede senza significato.

Il film viene anche azzoppato da due recitazioni poco convincenti: da un lato un Ben Affleck espressivo come un segnachilometri, dall'altro una Olga Kurylenko francamente insopportabile, che corre sorridente tra prati, fiumi e montagne e a cui mancano solo le caprette che fanno ciao per sembrare la versione made in USA di Heidi.
A salvare almeno in parte la pellicola ci sono fotografia e musiche, come sempre perfette nei film di Malick. La luce che illumina il film apre gli occhi allo stupore e alla meraviglia, e le musiche ne accrescono l'efficacia.

To the wonder è un film ripetitivo, che lascia sconcertati per la sua incapacità sia di staccarsi dal modello del film precedente, sia di aggiungervi qualcosa di nuovo. Viene da chiedersi cosa abbia spinto Malick, che solitamente lascia passare molto tempo tra un suo lavoro e l'altro, a dirigere questo film, che non fa onore nè alla sua carriera nè alla sua capacità di esplorare nuovi linguaggi cinematografici e di toccare le corde più intime dell'animo degli spettatori.

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Pier