sabato 26 gennaio 2013

Operazione Zero Dark Thirty

La lentezza di un'ossessione



Dopo l'attacco alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra senza quartiere contro Al-Qaeda, e in particolare contro il suo esponente di punta, lo sceicco Osama Bin Laden. La caccia all'uomo si è protratta per quasi dieci anni, fino a quando il covo di Bin Laden è stato identificato in un complesso residenziale in Pakistan, grazie al lavoro ininterrotto di una coraggiosa agente CIA, che ha seguito una pista che molti credevano essere senza speranza.

Nel tentativo di fugare le accuse di misoginia (poche donne produttrici di spicco, poche donne regista) che da anni le piovono addosso senza sosta, Hollywood ha di recente intrapreso un'opera di ristrutturazione della sua immagine pubblica, nel tentativo di mostrare apertura e considerazione verso il mondo femminile. Di quest'opera hanno beneficiato in tante, tra cui Sofia Coppola, autrice di un primo tempo eccezionale (Lost in Translation) e di un secondo tempo e di una manciata di film che è difficile definire più che mediocri.

La vera miracolata di questa operazione di restyling dell'immagine di Hollywood e dell'Academy è però Kathryn Bigelow. Intendiamoci, la regista statunitense è brava e realizza film intensi e forti, toccando temi che altri non osano affrontare. Il suo uso della macchina da presa, tuttavia, non è nulla di eccezionale. Ciononostante, ha vinto una valanga di Oscar in quello che doveva essere l'anno del trionfo di Avatar. Il film non è particolarmente amato dal sottoscritto, ma solitamente film di questo tipo (qualcuno ha detto Titanic?) vengono sempre ricoperti di statuette. Invece, l'Academy ha deciso di far vincere un film indipendente sulla guerra in Iraq, passato quasi inosservato alla Mostra del Cinema di Venezia, casualmente diretto dalla ex moglie di Cameron, facendo così fiorire una selva di commenti sulla forza delle donne, sull'indipendenza femminile, sulla "moglie che batte l'ex marito fedifrago", e via andando di stereotipi.

Perchè questo cappello introduttivo? Perchè Operazione Zero Dark Thirty è, come The Hurt Locker, un film sopravvalutato, che però ha fatto incetta di nomination. Certo, la regia è solida e curata, e le scene di tortura sono raccontate con una durezza e una forza non comuni. E certo, Jessica Chastain conferma ancora una volta di essere un'attrice eccellente, capace di mille sfumature all'interno della stessa scena (perfetta in questo senso la sequenza finale) e di dominare lo schermo con la forza delle sue intenzioni. Il film però non va oltre uno scolastico tentativo di raccontare l' "ossessione Osama", attraverso scene disconnesse tra loro e ripetitive, con un ritmo quasi assente nella prima parte e zoppicante nella seconda.

L'evoluzione del personaggio della Chastain è rigida e procede a scatti, e manca totalmente dell'approfondimento psicologico che aveva invece ricevuto il personaggio di Jeremy Renner in The Hurt Locker. Il film soffre di una scrittura ripetitiva ed autocompiaciuta, che ha breve guizzi di vita in alcuni dialoghi tra la Chastain e altri agenti CIA, ma che per il resto soffre di una totale incapacità di creare tensione ed interesse nello spettatore, che rischia anzi spesso di cadere vittima del torpore che sembra attanagliare anche alcuni membri CIA. Il film è inoltre ricco di stereotipi cari al cinema di genere, dalla giovane donna che combatte il maschilismo e il testosterone dei capi, all'amica morta da vendicare, passando per i militari USA che, anche se torturano i prigionieri, in fondo non fanno altro che "compiere il proprio lavoro", e rimangono comunque dei bravi esseri umani.

Operazione Zero Dark Thirty è un film dignitoso, ma assolutamente lontano dagli standard di qualità che dovrebbe avere un film indipendente nominato agli Oscar: l'Academy solitamente "perdona" i difetti solo con i grandi blockbuster come Titanic o lo stesso Avatar, ma premia la qualità degli indipendenti, come dimostrano le vittorie degli ultimi due anni. Viene quindi il sospetto che, ancora una volta, la Bigelow benefici del suo essere donna nell'ottenere considerazione, in una sorta di misoginia al contrario, un'applicazione delle "quote rosa" al cinema che, personalmente, trovo ancora più odioso della discriminazione che vorrebbe combattere.

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Pier



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