sabato 14 gennaio 2012

La talpa

La forza della mediocrità


Londra, inizio anni '70. George Smiley è un agente segreto britannico ormai in pensione. Alla morte del suo ex capo, Controllo, Smiley viene però richiamato segretamente in servizio per indagare su una vicenda molto spinosa: Controllo sospettava che il KGB avesse infiltrato una talpa ai vertici del Circus, nome in codice dell'MI6 inglese. A seguito del fallimento di un'importante missione in Repubblica Ceca, il governo comincia a credere ai sospetti dell'ex capo, e affida a Smiley il compito di verificarli. La missione porterà Smiley di nuovo nel cuore delle operazioni, facendolo addentrare in una rete di intrighi e doppiogiochi da cui dovrà districarsi per sopravvivere.

Dopo la celebre versione televisiva interpretata da Alec Guinness, La talpa di Le Carrè viene portata sullo schermo da Tomas Alfredson, regista di Lasciami entrare, horror svedese di qualche anno fa che è diventato in pochissimo tempo un film di culto per gli amanti del genere.
Alfredson, nonostante sia al primo lavoro hollywoodiano, riesce fin da subito a dare la sua impronta al film, riducendo all'osso le scene d'azione (una delle trovate più apprezzabili di Lasciami entrare) e concentrandosi sulla psicologia dei personaggi e sulle loro relazioni presenti e passate. Ecco quindi un uso intensivo del flashback, fotografato con un senso di amore e nostalgia per un'epoca felice e quasi nobile dello spionaggio, segnata dal rispetto e dalla serenità. Una serenità tuttavia era solo apparente, in quanto celava già quegli avvenimenti e quei segreti che avrebbero distrutto il gruppo dall'interno, seminando il sospetto e mettendo tutti contro tutti.

Il lento gioco al massacro interno cui si è sottoposto l'MI6 è incarnato dal personaggio di Smiley, magistralmente interpretato da Gary Oldman. Oldman ci presenta un personaggio solo apparentemente sottotono e distaccato, per il quale riesce a trovare un'espressività tutta sua che si estrinseca attraverso gli occhi. Smiley ha gli occhi di chi ha visto tanto, troppo, ed è stanco di vedere e di conoscere, ma non può far altro che continuare.
A Oldman si affianca un cast all british di tutto rispetto, da Colin Firth, elegante e serafico, a William Hurt, burbero ma leale, passando per un Tom Hardy lontano dalla fisicità di Bronson o del prossimo Batman, ma comunque eccellente nella parte dell'agente che potrebbe far cadere il castello di carte su cui Smiley indaga.

Alfredson realizza una spy story intensa e convincente, povera d'azione ma ricca di colpi di scena e sequenze di altissimo livello cinematografico, culminanti in un finale emozionante e quasi commovente, in cui, sulle note di La Mere, si regolano i conti e si ripensa a un passato che ormai non c'è più.

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Pier

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