mercoledì 2 febbraio 2011

Il discorso del re

Il potere della parola



Regno Unito, fine anni '30. Re Giorgio V è malato, e il suo regno sta giungendo alla fine. Il successore designato è Edoardo, che decide però di rinunciare al trono dopo poco tempo per sposare la pluridivorziata americana Wallis Simpson. A succedergli è il fratello Albert-Giorgio VI, affetto però da una grave forma di balbuzie. Mentre oscure nubi si addensano sull'Europa, il nuovo re si affida alle cure del logopedista anticonformista Lionel Logue per imparare a parlare in pubblico.

Il film di Tom Hooper (già autore di una piccola perla passata quasi inosservata come Il maledetto United) ha già nel titolo la sua cifra e il suo punto di forza. La vera protagonista de Il discorso del re è infatti la parola, fluente nella bocca della duchessa di York, di Logue e del principe-re Edoardo, lenta e impacciata in quella di Albert. Parlare per lui è un'impresa titanica, e anche raccontare una storia alle sue figlie diventa uno sforzo immane, sofferto, una lenta conquista di ogni sillaba. Logue saprà far scoprire al re non solo l'arte di parlare in pubblico, ma anche il piacere di parlare, di esprimere le proprie idee, restituendogli il suo diritto "ad essere ascoltato".
La sceneggiatura è magistrale e accompagna la lenta evoluzione del principe-re con dialoghi eccezionali, brillanti e drammatici allo stesso tempo, in cui ogni singola parola ha il suo significato. Memorabili in questo senso le lezioni impartite da Logue, in cui gli esercizi vocali diventano anche un modo per aiutare il re a ritrovare se stesso.

Il vero punto di forza del film è però il cast, capitanato da un Colin Firth sublime, che come il buon vino migliora invecchiando e che, dopo la spledida prova di A single man, offre una performance commovente e vera, in cui la sofferenza di ogni parola traspare chiaramente dal suo volto, dalle sue espressioni, dai suoi occhi. Linguaggio verbale e linguaggio corporeo si fondono alla perfezione nella sua recitazione, e ne fanno il favorito numero uno per gli Oscar di quest'anno.
Accanto a lui troviamo un Geoffrey Rush se possibile ancora più bravo: la sua è una recitazione più sommessa, meno "forte" ma ugualmente di impatto, in cui i sottotesti hanno la stessa importanza del testo e le parole non dette traspaiono chiaramente da ogni sua espressione. Una prova perfetta, sotto ogni punto di vista.
Ottime anche le interpretazioni di Helena Bonham Carter, che torna con successo a un personaggio "normale" conferendogli comunque l'ironia di cui è capace, e di Timothy Spall, un eccellente Churchill che meriterebbe forse un film a parte tanto è convincente.

La regia è ottima nel coordinare i vari elementi del film, che comprendono anche una splendida fotografia e un'eccellente colonna sonora, ma non offre guizzi creativi degni di nota.
Il discorso del re è un film di grande impatto, in cui ogni parola è misurata e calcolata al millimetro, e ci fa capire chiaramente come, anche negli eventi storici di maggiore portata, sono i dettagli, le persone e le parole che sanno dire a fare la differenza. Da vedere in lingua originale, senza se e senza ma.


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Pier

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